martedì 10 gennaio 2006

Una verifica seria della nostra interpretazione delle Scritture

Dal 1990 i Vescovi italiani propongono alla Chiesa italiana di prepararsi alla Settimana per l’unità - l’ottavario che si celebra dal 18 al 25 gennaio - con la Giornata dell’ebraismo, che è stata voluta, come suo prologo, il 17 gennaio. Il tema scelto dai Vescovi italiani per quest’anno è: «La prima delle dieci parole: ’Io sono il Signore tuo Dio...’».

Nella città di Milano il Consiglio delle Chiese cristiane ha deciso di celebrare insieme la Giornata dell’ebraismo con un convegno di studio su «L’uno e l’altro Testamento», che si terrà nel Seminario di corso Venezia 11, domani, lunedì 16 gennaio, dalle ore 10.

«Senza l’Antico Testamento, il Nuovo Testamento sarebbe un libro indecifrabile, una pianta privata delle sue radici e destinata a seccarsi». Questa affermazione dell’ultimo documento della Pontificia Commissione Biblica mette in luce non solo l’unità dei due Testamenti, ma anche il fatto che il Nuovo Testamento può essere compreso solo alla luce dell’Antico, di cui non elimina ma estende il senso. Di questo fatto, nella sensibilità ecclesiale, tuttora manca una consapevolezza condivisa e diffusa, che si rifletta anche nella predicazione e nell’insegnamento religioso.

«È certamente indispensabile che, nell’ambito della stessa pastorale ordinaria - si legge a questo proposito nel messaggio dell’Arcivescovo -, cresca l’esigenza di correggere ogni lettura anche inconsapevolmente antigiudaica dell’Antico Testamento e, conseguentemente, di riqualificare la predicazione domenicale e la catechesi biblica sulla storia della salvezza. Spero, pertanto, che in ogni comunità pastori, presbiteri, diaconi, catechisti e insegnanti di religione sappiano usufruire dell’opportunità offerta a tutti per una verifica seria della nostra interpretazione delle Scritture».

«Non ci potrà mai essere unità tra noi cristiani - sottolinea inoltre don Gianfranco Bottoni, responsabile diocesano per l’Ecumenismo e il Dialogo -, finché non avremo una più corretta comprensione di noi stessi in rapporto alla nostra parentela spirituale con il popolo ebraico e la sua tradizione. Ma, prima ancora, è indispensabile una nostra più corretta comprensione del rapporto tra i due testamenti della rivelazione biblica: da lì dobbiamo partire nella nostra “teshuvà”, la conversione intesa come ritorno a Dio e alle fonti e radici della nostra tradizione».

Lo stesso Sinodo della Chiesa Valdese nel 1998 si chiedeva: «Qual è oggi la lettura “cristiana” delle Scritture che Chiesa e Israele hanno in comune? Come si articolano tra loro l’attenzione alla specificità dell’Antico Testamento e la confessione che l’opera di Cristo è “secondo le Scritture”?».

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