lunedì 2 maggio 2005

Dio e la rivoluzione del dialogo


Il 28 ottobre 1965 la chiesa cattolica, riunita in concilio, ratifica una dichiarazione sulle relazioni con le religioni non cristiane. Il titolo in latino - Nostra aetate – è l’incipit del documento e significa: nel nostro tempo. Nell’introduzione si afferma: “I vari popoli costituiscono una sola comunità. Essi hanno una sola origine, poiché Dio ha fatto abitare l'intero genere umano su tutta la faccia della terra; hanno anche un solo fine ultimo, Dio, la cui provvidenza, le cui testimonianze di bontà e il disegno di salvezza si estendono a tutti, finché gli eletti saranno riuniti nella città santa, che la gloria di Dio illuminerà e dove le genti cammineranno nella sua luce” (n. 1). Queste poche righe sono fondate su ben sei citazioni bibliche (Sapienza, Atti degli apostoli, Lettera ai Romani, Lettera a Timoteo, Apocalisse). Il documento accentua l’idea di una sola comunità, una sola origine, un solo fine: il disegno di salvezza di Dio è universale. Infine Nostra aetate non ha alcun rimando al magistero precedente. La chiesa cattolica è di fronte a una questione nuova e caratteristica del nostro tempo. Per mantenere la fedeltà a Gesù Cristo occorre rivedere la tradizione.

Quando un cristiano parla di una sola origine fa riferimento alle pagine che aprono la Bibbia. Il libro della Genesi narra di come Dio tragga il mondo dall’abisso e dal caos, separando la terra dalle acque, la luce dalle tenebre. Adamo ed Eva, la prima coppia, sono all’origine di tutta l’umanità: pastori e agricoltori, gente di campagna e città, ebrei e non. Tutti gli esseri umani hanno un solo Padre: Dio. Affinché la sua benedizione divenga universale Dio sceglie una coppia particolare: Sara e Abramo. Questa famiglia diviene il popolo d’Israele chiamato a essere luce per le genti. Da questo popolo nasce Gesù il Messia che porta la salvezza all’umanità. Questo è il disegno di Dio narrato nella Bibbia. Il racconto presenta tuttavia aspetti sorprendenti. Nella Genesi la benedizione fuoriesce abbondantemente dal percorso tracciato da Dio: Israele - il figlio della promessa - non è più benedetto del fratello Ismaele; il padre nella fede Abramo - il primo definito ebreo dalla Bibbia - riceve lezioni di etica dai gentili (i non ebrei); la genealogia del Messia passa attraverso una straniera di nome Rut (una moabita). Gesù scorge nella donna cananea e nel centurione romano una fede superiore a quella di molti del suo popolo Israele. Una fede che non passa attraverso Abramo. Anche i cristiani oggi incontrano quotidianamente stranieri con una grande fede. Non sempre la tradizione che li unisce a Dio sembra passare attraverso Gesù Cristo.

Nel 1985, nel corso di una visita pastorale in Marocco, papa Wojtyla incontra a Casablanca un gruppo di giovani studenti islamici. L’anno successivo, per la prima volta nella storia, un papa invita i rappresentanti delle grandi religioni mondiali per una giornata di preghiera per la pace. L’iniziativa si ripete nel 1993 durante la guerra nei Balcani e nel 2001 a seguito degli attentati terroristici dell’11 settembre. La formula scelta per rincontro, che si svolge nella città di Assisi di san Francesco, è quella di stare insieme per pregare. Ciascuno lo fa nella propria lingua e con le proprie formule. Prima pregano tutti nello steso momento ma in luoghi separati. Poi nello stesso luogo ma in momenti diversi. Ciascuno diviene così testimone della ricerca di Dio fatta dagli altri. Con questo invito Giovanni Paolo II propone un modello per la prassi dei cristiani.

La forza del gesto rilancia la discussione all’interno della chiesa cattolica. I pronunciamenti del magistero sul tema del dialogo interreligioso si dividono in 4 categorie: documenti conciliari, encicliche missionarie, dichiarazioni del pontificio consiglio e testi dottrinali. Il concilio (Lumen gentium, Nostra astate, Gaudium et spes) segna la svolta dalla condanna al confronto. I padri conciliari trovano elementi comuni nella vita religiosa delle persone. Le religioni non vengono considerate vie di salvezza ma si riconosce che alcuni elementi in esse contenuti trasmettono la grazia di Dio. Qui l’accento è sulla comune umanità. Le encicliche missionarie (Ad gentes, Evangelii nuntiandi, Redemptoris missio) affermano che l’unico progetto divino si compie in Gesù Cristo. Tutte le persone possono partecipare a tale progetto attraverso i valori contenuti nelle rispettive culture e religioni. La chiesa è il seme del regno di Dio nel mondo. Lo Spirito santo agisce in tutte le persone e le tradizioni. Qui l’accento è sull’annuncio. I documenti sul dialogo interreligioso (Dialogo e missione. Dialogo e annuncio) hanno carattere pastorale. Nella Bibbia Dio ha un unico disegno ma stipula molte alleanze (con Noè, Abramo, Mosè, Gesù). Così attraverso le diverse religioni le persone ricevono l’unica salvezza in Gesù Cristo. Spesso persone di altre fedi aiutano i cristiani a vivere meglio i valori evangelici. A volte il dialogo è l’unica modalità possibile di annuncio dell’evangelo. Qui l’accento è sul dialogo. I pronunciamenti dottrinali (Commissione teologica internazionale, Dominus Jesus) si oppongono al relativismo. Affermano che Gesù Cristo è l’unico mediatore della salvezza e che la chiesa è necessaria. Peraltro attestano l’azione della grazia nelle altre religioni e la possibilità di salvezza al di fuori della chiesa. Qui l’accento è sulla verità. All’interno della chiesa cattolica la discussione è aperta ma l’annuncio di Gesù Cristo si coniuga ormai con il valore delle altre religioni.

Il documento noto con il nome di Dialogo e missione si intitola per esteso L'atteggiamento della Chiesa di fronte ai seguaci di altre religioni. Riflessioni e orientamenti su dialogo e missione (10 maggio 1984). Tale documento valuta le esperienze di dialogo a vent’anni dalla pubblicazione della lettera enciclica Ecclesiam suam di Paolo VI e dalla fondazione del Segretariato per i non cristiani (oggi Pontifìcio consiglio per il dialogo interreligioso). Dell’annuncio si parla in modo eloquente: “La missione è costituita già dalla semplice presenza e dalla testimonianza viva della vita cristiana (cf Evangelii nuntianti 21), anche se si deve riconoscere che portiamo questo tesoro in vasi di creta (2 Corinzi 4,7), e quindi il divario tra come il cristiano essenzialmente appare e ciò che afferma di essere è sempre incolmabile” (n. 13). Il documento delinea poi un dialogo dalle molte forme: “il dialogo della vita, come uno stile di condotta che implica attenzione, rispetto e accoglienza verso l’altro; il dialogo dell’azione, come collaborazione per obiettivi di carattere umanitario, sociale, economico e politico che tendano alla liberazione e alla promozione dell’uomo; il dialogo teologico, sia per confrontare, approfondire e arricchire i rispettivi patrimoni religiosi, sia per applicarne le risorse ai problemi che si pongono all’umanità nel corso della sua storia; il dialogo dell’esperienza religiosa, come condivisione delle esperienze di preghiera, di contemplazione, di fede e di impegno, espressioni e vie della ricerca dell’Assoluto” (nn. 28-35). A questo punto è possibile trarre alcune conclusioni. Il dialogo non è per pochi. Certo c’è un dialogo per teologi e per monaci, ma c’è anche un dialogo per cooperanti e persino per semplici vicini di casa o colleghi di lavoro. Certo il dialogo richiede spirito di accoglienza e vigilanza critica. Certo il dialogo è una pratica ascetica che impegna e affatica, proprio come crescere dei figli o assistere degli ammalati. Ma non è per pochi.

Il discorso della montagna (Matteo 5) di Gesù di Nazaret

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