domenica 18 gennaio 1998

Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei. 17 gennaio 1998

 

1. Presentazione

 

Nel 1998 la giornata del 17 gennaio, istituita nel 1989 dalla Conferenza Episcopale Italiana per l'approfondimento e lo sviluppo del dialogo cristiano‑ebraico, ricorre al termine di una intensa stagione in cui le Chiese tutte - prima, durante e dopo la II Assemblea ecumenica europea di Graz - si sono interrogate seriamente sulle colpe commesse dai cristiani verso gli ebrei. In particolare, la Chiesa Cattolica sta elaborando la richiesta ufficiale di perdono per il peccato di antigiudaismo religioso (si vedano le affermazioni del presidente della commissione teologico‑storica del Giubileo, p. Georges Cottier: «Per antigiudaismo intendiamo l'insieme dei pregiudizi e dei giudizi pseudo‑teologici che hanno a lungo circolato in popoli segnati dal cristianesimo e che sono serviti come pretesto per le ingiustificabili vessazioni di cui ha sofferto il popolo ebraico nei corso della storia»; fonte ufficiosa).

Sono questi i frutti di un cammino durato almeno cinquant'anni in cui il dialogo ebraico‑cristiano ha portato a riconoscere dove stanno le radici dell'identità cristiana: la carne assunta dal Verbo all'interno di un popolo ben preciso. Se quindi il legame delle due comunità nasce, reciprocamente, «al livello stesso della propria identità» (Giovanni Paolo II, 12 marzo 1979), è possibile per le chiese ridefinire se stesse proprio a partire dal persistere provvidenziale di Israele e della sua speranza messianica nella storia.

Perché la giornata del 17 gennaio 1998 avesse una sua configurazione ed un suo preciso sviluppo celebrativo, la Conferenza Episcopale Italiana, d'intesa con la comunità ebraica, ha scelto di approfondire il tema seguente: La dignità umana nella tradizione d'Israele. «Che cosa è l'uomo perché te ne ricordi...» (Sal 8,5 ss).

Il ricchissimo patrimonio spirituale della tradizione ebraica si è costituito nel corso dei secoli grazie ad un commento della Scrittura alimentato sempre da una estrema attenzione alla vita concreta e alle sofferenze proprie ed altrui. Il tema di quest'anno - che riprende e approfondisce il tema del 1995 Dio creò l'Uomo a sua immagine... (Gen 1,27) - mette bene in evidenza la dignità dell'essere umano inteso come "tempio" di Dio, chiamato a coronare quel "Tempio" perfetto che è la Nazione Santa, in attesa che lo diventi l'umanità intera (è questo un rilievo interessante che un noto rabbino italiano del secolo scorso, Elia Benamozegh, ricava da Jalkut Shimeoni, 20, secondo cui Dio, per formare il corpo di Adamo, prese la terra dell'altare di Gerusalemme, o, meglio dal luogo del suo perdono).

 

2. Il tema della giornata del 17 gennaio 1998

 

La dignità umana nella tradizione d'Israele.

«Che cosa è l'uomo perché te ne ricordò..» (Sal 8,5 ss)

 

Il cristianesimo eredità direttamente dall'ebraismo il valore della dignità umana. Proprio il capitolo del Nuovo Testamento che lo innesta sul sacerdozio regale di Cristo, cita i versetti 5‑7 di quel Salmo 8 (tr. LXX) da cui ha preso spunto la nostra riflessione: Non certo a degli angeli Dio ha assoggettato il mondo futuro, del quale parliamo. Anzi, qualcuno in un passo ha testimoniato: Che cos'è l'uomo perché ti ricordi di lui o il figlio dell'uomo perché tu te ne curi? Di poco l'hai fatto inferiore agli angeli, di gloria e di onore l'hai coronato e hai posto ogni cosa sotto i suoi piedi. Avendogli assoggettato ogni cosa, nulla ha lasciato che non gli fosse sottomesso. Tuttavia al presente non vediamo ancora che ogni cosa sia a lui sottomessa. Però quel Gesù, che fu fatto di poco inferiore agli angeli, lo vediamo ora coronato di gloria e di onore a causa della morte che ha sofferto, perché per la grazia di Dio egli provasse la morte a vantaggio di tutti» (Ebr 2,ó‑9).

Non a caso, dunque, uno scritto redatto per dei giudeo‑cristiani diventa la pietra miliare per ritrovare nell'intera tradizione ebraica il valore inalienabile dell'essere umano: «Chiunque porta un volto umano è creato e chiamato ad essere rivelazione della dignità umana» (L. Baeck). Illuminante è un midrash sul simbolo della torre di Babele: «Gli uomini dissero: costruiamo una città e una torre la cui cima arrivi al cielo. Ora la torre aveva sette gradinate ad oriente e sette ad occidente. Gli uomini salivano da una parte per portare i mattoni, mentre scendevano dall'altra per andarli a caricare. Se cadeva un mattone si sedevano e piangevano dicendo: Ah, si è rotto un mattone! Che cosa facciamo? Qua 'è il suo prezzo? Dobbiamo farne un altro! Passò allora di là il Signore e vide che gli uomini che cadevano dalle impalcature non erano pianti ma il mattone cotto trovava grande pianto. Allora li maledisse e li disperse su tutta la faccia della terra» (Genesi Rabbà, 11,1‑9). La sciagura, quindi, non consiste nella confusione delle lingue, bensì nell'idolatria della propria potenza che fa valere un mattone più di un essere umano. Di qui si ricava, per converso, il criterio di "diritto divino" secondo il quale «ogni persona vale quanto tutto il mondo» (Berakhot 6b) e «chi conserva una vita in Israele, ha conservato un mondo con tutte le sue ricchezze» (Avot di R. Natan, 31; cfr. qui sotto m. Sanhedrin, 4,5).

La tradizione rabbinica fin dall'inizio, non accettando l'idea di un destino tragico, spiega la violazione della dignità umana con la mancanza di responsabilità nella cura dell'altro, chiunque sia: forestiero, schiavo, povero (cfr. Es 23,1‑9; Dt 22,14) o anche nemico (cfr. Lv 19,17‑18). In seguito, i maestri rabbini, quando interpretano la legislazione della Torà sui rapporti col prossimo - cfr. Lv 25,23‑34 [giubileo]; Dt 14,22‑29 [decime]; Dt 16,18‑20 [giustizia] -, denotano una concezione etico‑sociale del diritto dell'altro all'assistenza, perché nessuno che sia oppresso dal bisogno rimanga in balia della benevolenza spontanea. Ecco alcuni esempi.

La tutela del forestiero è particolarmente emblematica per la scoperta del senso originario della comune umanità (tale da rendere Abramo, secondo il Talmud, una specie di «socio di Dio nella creazione» quando pratica l'ospitalità verso i tre sconosciuti: cfr. Gen 18,1‑8): «Forestieri voi siete presso di me, ciò significa: non atteggiatevi a uomini che pensano di essere i soli a contare» (Sifra su Lv 25,23: «La terra è mia ‑ dice il Signore ‑ e voi siete presso di me come forestieri e inquilini»). D'altra parte, sempre duro è il giudizio sugli abusi della proprietà: «Dire che il mio è il mio e il tuo è il tuo, significa avere la mentalità di Sodoma» (Pirqé 'Abot V,11), con riferimento al seguente passo della Scrittura: «Ecco, questa fu l'iniquità di tua sorella Sodoma: essa e le sue figlie avevano superbia, ingordigia, ozio indolente, ma non stesero la mano al povero e all'indigente» (Ez 16,49).

La concezione del diritto dell'altro custodita nella Torà nasce dalla tensione tra l'esperienza umana di non essere giusti e il sempre risorgente anelito divino al bene: «L'uomo sta un poco più in basso degli angeli (cfr. Sal 8,ó) e un po' più in alto delle bestie. Come un pendolo, egli oscilla avanti e indietro sotto l'azione combinata della gravità e dell'impulso, la foga di gravità del suo egoismo e l'impulso del divino, di una visione contemplata della vicinanza di Dio nelle tenebre della carne e del sangue [...] Non ci viene chiesto di abbandonare la vita e di congedarci da questo mondo, ma di mantenervi accesa la scintilla e di permettere che la luce divina si rifletta sul nostro volto» (A.J. Heschel). Eredità, questa, tipicamente rabbinica, secondo la quale «le azioni dei giusti superano la creazione del cielo e della terra».

Di fronte alla esperienza del male il valore della dignità umana si attua mediante la conversione di ogni energia in una relazione positiva tra gli esseri umani: «Non si può servire Dio veramente senza passione. La passione diretta verso Dio è il vero servizio. Questo è ciò che vuoi dire la grande parola dei nostri savi (si veda qui sotto l'insegnamento di R. Nachman di Breslav; ndr.), che si deve servire Dio con i due istinti, quello del bene e quello del male, con l'unità della passione e della direzione» (M. Buber).

Ritornando per finire al Salmo 8,5 ss, possiamo rilevare che la dignità umana, i cui termini sono mutuati dall'ideologia regale (gloria, onore, potere), è un dono di Dio che veglia sulla sua creatura prediletta perché ne diventi suo responsabile luogotenente. I1 salmista è stupito che l'essere umano sia oggetto di una premura unica e appassionata da parte di Dio, anzi è come in preda ad un certo timore reverenziale per la distanza tra la propria umana nullità e la grazia incomparabile del dono divino. Ma è proprio questa la vera umiltà alla quale ci educa il Chassidismo filtrato da M. Buber «Il singolo guarda Dio e l'abbraccia. Il singolo redime i mondi caduti. Eppure il singolo non è tutto, ma una parte. E quanto più egli è puro e perfetto, tanto più nitidamente egli sa di essere una parte, e tanto più si fa desta in lui la comunanza degli esseri. Questo è il mistero dell'umiltà: [...] di essa è espressione l'aiutare non per compassione, cioè non per un acuto improvviso dolore di cui ci si voglia liberare, ma per amore, cioè per comunicazione di vita»

 

3. TESTI E PREGHIERE

(da utilizzare per una liturgia della parola o per una celebrazione eucaristica)

 

a) Commenti

 

«Per questa ragione fu creato un solo uomo, per insegnarti che se uno distrugge una sola persona, la Scrittura lo considera come se avesse distrutto il mondo intero; e se salva la vita di una singola persona. la Scrittura lo considera come se avesse salvato il mondo intero» (m. Sanhedrin, 4,5).

«Enosh vuoi dire essere umano e indica l'umanità in uno stato di degradazione, l'uomo violento. Adam indica l'umanità allo stato puro, luogotenente di Dio sulla terra» (Hirsch).

«In ogni uomo c'è qualcosa di prezioso che non si trova in nessun altro. Si deve perciò onorare ognuno secondo le sue virtù nascoste, che egli solo possiede e che non ha nessuno dei compagni » (Rabbi Jakob Izchaq, il "Veggente " di Lublino).

«Ogni uomo ha in se tutti i mondi che esistono, perciò è capace di entrare in contatto con tutti. L'uomo possiede in se tutte le caratteristiche, buone e cattive, ma si trovano in uno stato potenziale. E però in suo potere manifestarle. Se il suo carattere è angelico, trasformerà le tendenze cattive in buone, se è demoniaco, trasfonderà le tendenze buone in cattive. Ma come può un uomo acquisire un carattere angelico? È lo studio della Torà e l'obbedienza ai comandamenti che ci aiutano a divenire santi come gli angeli» (Rabbi Pinchas di Korez).

«Se non avessimo un impulso e un'attrazione al male, il nostro servizio sarebbe senza valore. Il Signore ha dotato l'uomo di una passione impetuosa e costante che agisce come ostacolo al suo desiderio di avvicinarsi a Dio. Anche se l'impulso al male può portare l'uomo ad offendere Dio gravemente, se l'uomo riesce a sottomettere le sue passioni e ad indirizzarle al servizio di Dio, ogni sacrificio ne vale la pena. Questa vittoria, anche se solo occasionale, è più gradita a Dio di mille anni di servizio osservato da un uomo senza passioni. L'universo fu creato unicamente in vista di questo combattimento contro il male innato. Questa lotta per sottomettere tutte le passioni sotto i suoi piedi è il compito principale e la corona dell'uomo (Rabbi Nachman di Breslav).

«Non esiste qualità o forte nell'uomo che sia stata creata inutilmente. E anche tutte le qualità basse e malvagie possono essere sollevate al servizio di Dio. Cosi per esempio l'orgoglio: quando viene elevato si muta in nobile coraggio nelle vie di Dio. Ma a che sarà stato creato l'ateismo? Anch'esso ha la sua elevazione nell'atto di pietà. Poiché quando uno viene da te e ti chiede aiuto, allora tu non devi, da uomo pio, raccomandargli: abbi fiducia e Dio ti aiuterà, ma devi agire come se non ci fosse Dio ad agire, come se in tutto il mondo non ci fosse nessun altro che potesse aiutarlo all'infuori di te» (Rabbi Moshé Loeb di Sasow).

 

b) Preghiere

 

«Il tuo mondo, la tua eternità possa tu trovare nella tua vita, il tuo futuro sia nella vita del mondo futuro, e la tua speranza sia di generazione in generazione» (Berakhot 17b).

«O Tu, glorioso, splendido ornamento del mondo, l'anima mia è malata dell'amore tuo! Ti prego dunque, o Dio, risanala Tu, mostrandole con dolcezza la tua gloria: allora essa ritroverà forza e salute, e diverrà tua ancella in eterno!» (Rituale ebraico, Preghiera del mattino; brano del canto «Amico dell'anima).

«Ripristina i nostri giudici come in antico e i nostri consiglieri come in principio; allontana da noi l'afflizione e il lamento e regna presto Tu solo su di noi, Signore, con grazia, misericordia, diritto e giustizia. Benedetto sei Tu, Signore che ami il diritto e la giustizia» (Rituale ebraico, Preghiera del mattino, XI Benedizione).

«Re dell'universo, padre di misericordia e di perdono,

concedici di incominciare in pace i giorni di lavoro che si stanno avvicinando:

liberi da ogni peccato e da ogni infedeltà,

purificati da ogni iniquità, malvagità e cattiveria,

intenti allo studio della tua Torà e a compiere opere di bene.

Che nella nuova settimana ci giungano solo notizie di gioia e di felicità.

Che il cuore di nessun uomo abbia invidia di noi né noi

abbiamo invidia di nessun altro uomo.

Re nostro, Dio nostro, padre di misericordia,

benedici e arricchisci il lavoro delle nostre mani (...)

Padre che ami e Signore che perdoni,

aprici, in questa settimana e nelle settimane da venire,

le porte della luce e della benedizione,

della redenzione e della salvezza,

dell'aiuto celeste e della gioia,

della santità e della pace,

dello studio della Torà e della preghiera.

Fa' che su di noi si compiano le parole della Scrittura che dice:

"Come sono belli sui monti

i piedi del messaggero di lieti annunzi,

che annunzia la pace,

messaggero di bene che annunzia la salvezza,

che dice a Sion: Regna il tuo Dio" (Is 52,7). Amen».

(Rituale ebraico, rito sefardita, Havdalà di Shabbat).

 

4. Preghiere dei fedeli (da usare come sopra)

 

Rivolgiamo la nostra preghiera al Signore Dio nostro che è l'Unico Santo e Padre sempre premuroso verso tutti gli uomini e le donne che hai reso responsabili gli uni verso gli altri:

 

1. Benedetto sei Tu, Signore Dio nostro e Re del mondo, che ci dai la possibilità di partecipare alla tua gloria, fa' che ebrei e cristiani promuovano la dignità della persona e la santità della vita umana.

 

2. Benedetto sei Tu, Signore Dio nostro e Re del mondo, che ci hai creati a tua immagine e somiglianza, fa' che ebrei e cristiani collaborino nel contrastare ogni forma di discriminazione e di violenza, specie verso i più deboli.

 

3. Benedetto sei Tu, Signore Dio nostro e Re del mondo, che hai chiamato ebrei e cristiani ad essere benedizione per il mondo intero, fa' che siamo in primo luogo benedizione gli uni per gli altri (Giovanni Paolo II).

 

4. Benedetto sei Tu, Signore Dio nostro e Re del mondo, fa' che le chiese proseguano nell'esame di coscienza delle loro colpe verso gli ebrei che ami in virtù delle tue promesse irrevocabili.

 

O Dio, ti ringraziamo per il dono di amicizia e di collaborazione tra le Chiese e la comunità ebraica; fa' che ebrei e cristiani possano sempre collaborare all'unità della famiglia umana secondo il tuo disegno di salvezza. Amen.

 

sabato 17 gennaio 1998

Il tema della Giornata dell'ebraismo. 17 gennaio 1998. Diocesi di Milano


Torà: tenerezza di Dio per l’umanità

 

Torà: insegnamento, direzione, ammaestramento, dono con cui Dio ratifica l'Alleanza con il suo popolo Israele. E' nella Torà che gli mostra il cammino da seguire per realizzare la sua vocazione di testimone del Dio unico tra le nazioni della terra. Un Dio che con misericordia si è chinato sulla condizione umana, si è rivelato attraverso il popolo che si è scelto, per farne uno strumento privilegiato per la realizzazione del suo piano di salvezza.

La Torà scritta e la Torà orale sono considerate ambedue di origine divina, rivelate a Mosè sul Sinai.

"Quando il Signore ebbe finito di parlare con Mosè sul monte Sinai, gli diede le due tavole della testimonianza, tavole di pietra scritte dal dito di Dio" (Es 31,18). "Mosè prese il libro dell'Alleanza e lo lesse alle orecchie del popolo, e dissero: ‘Tutto ciò che il Signore ha parlato lo metteremo in pratica e lo ascolteremo’" (Es 24,7).

Ma come si fa per mettere in pratica la Torà? "Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te, né troppo lontano da te. Non è nel cielo perché tu dica: Chi salirà per noi in cielo per prendercelo e farcelo udire e lo possiamo seguire? Non è di là del mare perché tu dica: Chi attraverserà per noi il mare per prendercelo e farcelo udire e lo possiamo seguire? Anzi, questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica" (Dt 30,11-14).

La centralità della fede di Israele è espressa nella preghiera quotidiana dello Shemà Israel (“Ascolta, Israele”), recitato al mattino e alla sera di ogni giorno. "Ascolta, Israele: il Signore è nostro Dio, il Signore è Uno! Amerai il Signore Dio con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutto il tuo potere. Queste parole che oggi ti ordino saranno sul tuo cuore. Le inculcherai ai tuoi figli, ne parlerai quando sarai seduto in casa tua, quando camminerai per la via, quando ti coricherai e quando ti alzerai! Te le legherai come segno sulla tua mano e ti saranno come un pendaglio tra gli occhi, le scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte" (Dt 6,4-9). Quindi il Dio di Israele è un Dio che ha parlato e che continua a parlare con il suo popolo a cui è richiesto di ascoltarlo, ma non basta. E' pure chiesto di amarlo in modo estremo: con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutte le forze. Si tratta di imitare Dio stesso, di essere come Lui nella costruzione del mondo e di essere santi perché Lui è santo, e questo attraverso l'adempimento dei precetti.

Se la meta da raggiungere è molto alta, Dio stesso viene incontro ai suoi figli anche quando si sono da lui allontanati, se disposti a ritornare, a fare Teshuvà. Egli è "un Dio di tenerezza e di bontà, lento alla collera, ricco di grazia e di fedeltà" (Es 34,6 ss). "Significa svalutare i precetti dell'ebraismo il non vedervi che delle pratiche costringenti. I suoi riti sono gesti che rompono la monotonia dell'esistenza quotidiana e richiamano a coloro che li osservano la ‘signoria’ di Dio. Gli ebrei ricevono come un dono di Dio il sabato e i riti che hanno come fine la santificazione dell'agire umano. Al di là della lettera, per l'ebreo essi sono luce e gioia nel cammino della vita (Sal 119). Essi sono un modo di ‘costruire il tempo’ e di rendere grazie per la creazione intera. Difatti è tutta l'esistenza che deve essere riferita a Dio, come Paolo lo richiamava ai suoi fratelli (1 Cor 10,30-31)” (Comitato Episcopale francese per le relazioni con l'ebraismo, Pasqua 1973).

"E' certo che Gesù abbia voluto sottomettersi alla legge (Gal 4,4), che sia stato circonciso e presentato al tempio, come qualunque altro ebreo del suo tempo (Lc 2,21.22-24), e che sia stato formato all'osservanza della Legge. Egli ha raccomandato il rispetto della legge (Mt 5,17-20) e l'obbedienza di essa (Mt 8,4). Il ritmo della sua vita è scandito, sin dall'infanzia, dai pellegrinaggi in occasione delle grandi feste (Lc 2,41-52; Gv 2,13; 7,10 ecc.). Si è rivelata spesso l'importanza, nel vangelo di Giovanni, del ciclo delle feste ebraiche (2,13; 5,1; 7,2; 10,37.22; 12,1; 13,1; 18,28; 19,42 ecc.) e del tempio (Gv 18,20 ecc.) che egli frequentava, come lo facevano i suoi discepoli anche dopo la resurrezione (cf. per es. At 2,46; 3,1; 21,26 ecc.). Egli ha voluto inserire nel culto della sinagoga l'annuncio della sua messianicità (Lc 4,16-21). ma soprattutto ha voluto realizzare l'atto supremo del dono di sé nel quadro della liturgia domestica della Pasqua, o almeno nel quadro della festività pasquale (Mc 14,1.12 e paralleli, Gv 12,28). E ciò permette di comprendere meglio il carattere di ‘memoriale’ dell'eucarestia" (Ebrei ed ebraismo nella predicazione e nella catechesi della chiesa cattolica. Sussidi per una corretta interpretazione, III, 75, 1985).

“Poiché certi avvenimenti sarebbero impensabili, se non ci fossero stati i pregiudizi e le decisioni prese dalla cristianità nel corso dei secoli e poiché essi hanno la loro origine dall’ignoranza, nelle nostre comunità cristiane, sull’ebraismo storico e contemporaneo, si deve fare tutto il possibile per: a) diffondere la conoscenza dell’Israele storico e moderno; b) attingere dalla sacra Scrittura nuovi lumi sul mistero di Israele e le relazioni tra cristiani ed ebrei; c) rilevare le tracce di ostilità antiebraica latente nell’insegnamento della chiesa; d) combattere la dimenticanza e la rimozione del passato; opporsi all’antisemitismo risorgente nel nostro paese” (Sinodo della chiesa evangelica di Renania. Messaggio in vista del dialogo fra ebrei e cristiani, 13 gennaio 1978)

“Molto presto nella chiesa si è perso coscienza del fatto che un aspetto essenziale dell’unità del popolo di Dio è l’unità tra chiesa e sinagoga. La storia dei rapporti tra cristiani ed ebrei nei venti secoli che stanno alle nostre spalle è quanto mai dolente, con colpe enormi da parte dei cristiani che - forse - contro nessun popolo hanno peccato tanto quanto contro gli ebrei. Sarà necessaria una svolta non piccola nella coscienza cristiana contemporanea per comprendere che Israele come comunità di fede è parte integrante della questione ecumenica” (Documento sull’ecumenismo - Sinodo valdese, 1982).

 

SUSSIDIO PER UNA LITURGIA DELLA PAROLA

 

Introito

 

L’altissimo ha fatto conoscere la sua salvezza, ha manifestato la sua giustizia nel cospetto delle nazioni (Salmo 98,1-2).

 

Il dono della Torà come cura di Dio (Salmo 8)

 

O Signore, nostro Dio,

quanto è grande il tuo nome su tutta la terra:

sopra i cieli si innalza la tua magnificenza.

Con la bocca dei bimbi e dei lattanti

affermi la tua potenza contro i tuoi avversari,

per ridurre al silenzio nemici e ribelli.

 

Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita,

la luna e le stelle che tu hai fissate,

che cosa è l'uomo perché te ne ricordi

e il figlio dell'uomo perché te ne curi?

 

Eppure l'hai fatto poco meno degli angeli,

di gloria e di onore lo hai coronato:

gli hai dato potere sulle opere delle tue mani,

tutto hai posto sotto i suoi piedi;

tutti i greggi e gli armenti,

tutte le bestie della campagna;

gli uccelli del cielo e i pesci del mare,

che percorrono le vie del mare.

 

O Signore, nostro Dio,

quanto è grande il tuo nome su tutta la terra.

 

Preghiera di lode

 

Con amore grande ci hai amati, Signore nostro Dio,

con pietà grande e sovrabbondante hai avuto pietà di noi.

Padre nostro, nostro Re, hai istruito i nostri padri e le nostre madri con decreti di vita,

così fai grazia anche a noi e istruiscici.

 

Padre nostro, padre misericordioso e compassionevole,

concedi al nostro cuore di capire e di discernere,

di ascoltare, di studiare e di insegnare,

di custodire, di praticare e di compiere con amore

tutte le parole che hai amorevolmente donato attraverso la tua Legge.

Illumina i nostri occhi con la tua legge, attacca il nostro cuore ai tuoi precetti.

 

Benedetto sei tu Signore che guidi i nostri passi con precetti di vita.

(Tratto dalla benedizione Ahavà, la seconda che precede lo Shemà)

 

Confessione di peccato

 

Deuteronomio 6,4-9: lettura dello Shemà Israel

 

Ascolta, Israele: il Signore è nostro Dio, il Signore è Uno! Amerai il Signore Dio con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutto il tuo potere. Queste parole che oggi ti ordino saranno sul tuo cuore. Le inculcherai ai tuoi figli, ne parlerai quando sarai seduto in casa tua, quando camminerai per la via, quando ti coricherai e quando ti alzerai! Te le legherai come segno sulla tua mano e ti saranno come un pendaglio tra gli occhi, le scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte.

 

Preghiera di confessione

 

Ti chiediamo perdono o Signore perché all’ascolto della tua parola abbiamo preferito l’orgogliosa pretesa di possedere la verità. Abbiamo insegnato il disprezzo per Israele tuo popolo credendo di essere ormai noi il vero Israele; abbiamo dimenticato il tuo invito ad ascoltare e attendere. La tua misericordia frantumi il nostro cuore di pietra e ci doni un cuore nuovo capace di ascoltare insieme a Israele la tua Parola.

 

Annuncio della grazia

 

Esodo 24,7

 

Tutto ciò che il Signore ha detto lo metteremo in pratica e lo ascolteremo.

 

Preghiera

 

Così come Israele ha fatto e ha ascoltato la tua Parola perché tu l’hai amato noi crediamo che la tua grazia è più forte delle nostre mancanze, delle nostre rigidezze e dei nostri fallimenti. Per questo sii lodato Dio di Israele e nostro Signore.

 

Lettura di appoggio alla predicazione (Giacomo 1,22-25)

 

Siate di quelli che mettono in pratica la parola e non soltanto ascoltatori, illudendo voi stessi. Perché se uno ascolta soltanto e non mette in pratica la parola, somiglia a un uomo che osserva il proprio volto in uno specchio: appena s'è osservato, se ne va, e subito dimentica com'era. Chi invece fissa lo sguardo sulla legge perfetta, la legge della libertà, e le resta fedele, non come un ascoltatore smemorato ma come uno che la mette in pratica, questi troverà la sua felicità nel praticarla.

 

Lettura per la predicazione (Matteo 5,17-19)

 

Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto per abolire, ma per dare compimento. In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure un iota o un segno dalla legge, senza che tutto sia compiuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli.

 

Note omiletiche

 

Uno dei passi più controversi su cui si è sbizzarrita la “teologia della sostituzione”, quella teologia che ha ritenuto conclusa e superata l’elezione di Israele in quanto sostituita da quella della chiesa, si trova in Mt 5,17-19, all’interno del discorso della montagna. Nell’espressione di Mt 5,17 “non sono venuto per abolire (la legge), ma per portare a compimento”, il compiere è stato interpretato nel senso di concludere, come se Gesù intendesse dire di aver chiuso, finito, tolto ciò che era solo una pallida prefigurazione della promessa definitiva donata alla chiesa a scapito di Israele.

E’ indispensabile essere consapevoli delle conseguenze che questa teologia ha provocato nell’interpretazione dei testi evangelici: è questo un modo per liberare la Parola e permetterle ancora di essere voce profetica per noi oggi.

Tre sono i significati inclusi nel verbo compiere (“pleroo”):

1. Adempiere.

A differenza di altri passi matteani in cui il verbo è usato dall’evangelista, che ripercorre a posteriori le vicende di Gesù, per spiegare alla comunità, alla luce delle Scritture, come Gesù avesse adempiuto la parola dei profeti (“affinché si adempisse”, Mt 1,22; 2,5.15.18.23; 4,14; 8,17), in Mt 5,17 il verbo è pronunciato direttamente da Gesù. Egli dichiara, in prima persona, di non essere venuto ad abolire, ma a compiere. Gesù anzi contrappone il verbo compiere (pleroo, nel senso appunto di adempiere) ad abolire (katalyo). Dapprima per via negativa, poi con un’affermazione esplicita, Gesù dichiara che non è venuto ad abolire (dissolvere) la legge, ma ad adempierla. Va notato che nel testo per ben due volte viene affermata la non abolizione della legge da parte di Gesù. Questa ripetizione serve a rafforzare il concetto. Preoccupato dei possibili fraintendimenti di una comunità che già viveva delle tensioni con la fede ebraica, Matteo afferma che Gesù stesso ha dichiarato ciò che non va fatto nel suo nome: “abolire la legge”. Nel corso dei secoli la predicazione della chiesa ha invece violato questo divieto e, attraverso la “teologia della sostituzione”, ha dichiarato invalida la Torà perché compiuta (nel senso di finita) da Gesù.

Eppure nella tradizione evangelica esiste una tensione tra questo compimento profetico e la constatazione che non tutto è ancora compiuto. In Mt 11,2-6 Gesù manda a dire a Giovanni Battista che i ciechi vedono, i sordi odono, gli storpi camminano…; eppure non tutti i ciechi vedono… Questo adempimento è perciò vissuto in tensione escatologica, è un “già” nel “non ancora”. Israele svolge per noi un ruolo profetico. E’ quel popolo che mette in discussione le nostre certezze (è tutto già adempiuto), è il pungolo che ci ricorda il “non ancora”, la necessità di attendere, il “venga il tuo regno”.

2. Estendere.

Ogni persona ha il compito di estendere, ripetere, tramandare, fare propria, la Scrittura. Renderla parola di Dio oggi. Trasformare la lettera morta in Parola di vita: ri-scrivere il rotolo per proprio conto, rinnovando e rivitalizzando ancora una volta la tradizione per strapparla al rischio del conformismo (Levinas). Gesù durante la sua vita ha fatto tutto ciò con la Scrittura, l’ha attualizzata, radicalizzata, ha costruito intorno a essa dei Midrashim (che sono poi molte di quelle parole racchiuse nelle parabole). Anche il “ma io vi dico” è un modo di Gesù per estendere la Scrittura. La sua creatività, in linea con quella rabbinica, lo porta ad approfondire e interpretare in maniera più incisiva, quanto già affermato dalla tradizione ebraica. Ciò ancora una volta si contrappone all’abolire, al lasciar finire, morire, la parola di Dio. In Mt 5,18 Gesù dichiara che niente, nemmeno la più piccola parte della Scrittura (la lettera iod che in ebraico è la più piccola tra le lettere dell’alfabeto), né il più marginale dei precetti deve considerarsi abolito fintanto che esisterà il mondo e il Regno non verrà stabilito.

3. Fare, realizzare.

In Mt 5,19 è considerato grande chi esegue, mette in pratica e insegna i precetti. Gesù ha compiuto la Torà anche nell’obbedienza. Chi non obbedisce a essa e trasgredisce è invece chiamato “il più piccolo”, Es 24,7. Il rapporto tra il fare e l’ascoltare (“noi lo faremo e lo ascolteremo”) viene riconfermato anche da Gesù. La Torà è un dono come la manna, che fa i vermi se la si mette da parte senza “consumarla”.

 

Preghiera dei fedeli

 

Preghiamo perché aumenti in noi il desiderio di conoscere il popolo ebraico sia con lo studio dei testi fondamentali della sua Tradizione, sia con l’esperienza dell’Israele vivente. Perché possiamo capire che l'osservanza dei precetti ha lo scopo di santificare la vita umana e di ringraziare il Signore per l'intera creazione. Diciamo insieme:

 

R. Ascoltaci, Signore

 

1. Signore, che ti ricordi e hai cura delle tue creature, perdonaci per tutte le volte che abbiamo accusato i nostri fratelli ebrei di legalismo quando invece erano assidui a conoscere i tuoi voleri e a metterli in pratica. Preghiamo. R.

 

2. Signore, che ti ricordi e hai cura delle tue creature, aiutaci ad avere sempre rispetto delle nostre sorelle e dei nostri fratelli ebrei, stima delle loro convinzioni, aspirazioni, riti e dell'attaccamento che vi dimostrano. Preghiamo. R.

 

3. Signore che ti ricordi e hai cura delle tue creature, fa' che nelle celebrazioni liturgiche impariamo a dare una giusta interpretazione alle letture bibliche, soprattutto quando si tratta di brani che sembrano porre il popolo ebraico, come tale, in una luce sfavorevole. Preghiamo. R.

 

4. Signore che ti ricordi e hai cura delle tue creature, suscita in noi l'esigenza ineludibile di diffondere e di approfondire tra le nuove generazioni, cognizioni veritiere sull'ebraismo, la storia e la cultura ebraica, come pure sulla terra di Israele. Preghiamo. R.

 

5. Perché i precetti della Torà e i richiami dei profeti dinanzi all'oppressione, alla menzogna, alla corruzione siano il fondamento dell'impegno morale di cristiani ed ebrei. Preghiamo. R.

 

"Popoli numerosi e nazioni potenti verranno a Gerusalemme a consultare il Signore degli eserciti e a supplicare il Signore. Così parla il Signore dell'universo: In quei giorni, dieci uomini di tutte le lingue delle genti, afferreranno un Giudeo per il lembo del mantello e gli diranno: Vogliamo venire con voi, perché abbiamo compreso che  Dio è con voi" (Zaccaria 8,22-23).

 

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